Trapianto

Qui di solito lascio prosa o una miscellanea di poesia e prosa, la poesia rimane però il mezzo di espressione più immediato per me, è come una polaroid emozionale a sviluppo rapido. Di solito sono uniche, questi mesi invece mi hanno portata a scattarne una serie e ho scelto di metterla in fila qui sopra. Fatemi sapere, in privato come sempre o qui, tanto per fare qualcosa di nuovo, se preferite che aggiunga più versi o che mi mantenga centrata sulla prosa.

RADICE

Questa mancanza: verso difficile
da stendere, piega indicibile, 
suono muto iniziatico, 
radice ionica insradicabile, 
buco al termine dello pneumatico, 
pozzo che affonda senza eco. 
Origami di luoghi alieni, 
orologi di misura sbagliata, 
passi rivolti ad una nuca
vi ho rigettato, ed ora
mi torna indietro ciò che è tuo
da oltre un fosso invalicabile
e ciò che di me non si deve: 
avere una voce troppo alta, 
un angolo di ovatta, oppure
rivendicare il mio dolore, 
che come te nessuno mai
soffre, tu sei migliore
- ciò che io scavo ingombra
ma in superficie stride -, 
le tue parole, il tuo silenzio, 
la tua stirpe, i tuoi confini. 
Mi sta bene: stai con te
ma io finalmente resterò
accanto a me.
RISALIRE IL SALENTO

Ritorno: gusci spolpati
a riva, appena sfiorati
dal refolo virale, 
da scirocco e maestrale. 

Spettri di pescheria
affollano il viale, 
spettri di voci infantili
camera mia:

parole familiari
come monili
mi porto appresso, 
popolo i gusci di ombre.
LA COSA INNOMINABILE

Dei tre anni ho ricordi di bruma:
un raggio di sole, una palude
nel petto, melma fuori luogo
-"Non fare così!" dicevi. 
Il mio dolore non aveva nome
e così ho sempre fatto in segreto
la liquida cosa innominabile. 

Certi mesi era alta marea:
piangevo sola ogni giorno, diluviavo
le ferite sul corpo, le strida
del branco, lo stupro bianco, 
gli scampoli di solitudini affiancate. 

Certi mesi era bassa marea:
non piangevo nemmeno i lutti, 
rompevo forte oggetti rivendicando
rapporti rotti da qualcun altro, 
il primato della cornice sfranta. 

Piangevo tra le braccia d'amanti, 
col pudore sottratto al coito
ma solo uno capisce il pianto: è Itaca, 
sempre torno alle sue coste,
irrigo la baia tra spalla e collo. 

Non ricordo quando mai ho pianto
tra moltitudini amiche, prima
di una sera in cui ho tracimato
e ognuna teneva una mia mano, 
una spalla, una ciocca di capelli, 
ne ho tanti da avvolgerci un bambino. 

Nessuno mi ha detto: "non fare così. 
Non essere così, non è il caso."
Ho pronunciato tutti i nomi, 
spezzato ogni silenzio, lavato
una casa sporca insieme. 

Non voglio più essere una cosa innominabile
in un regno delimitabile
da divieti radicalmente altri.
USTIONE

Meno di trent'anni e sono riarsa, 
arenata tra membra mal cresciute
ciò che non poté il digiuno ha potuto
la magra riserva d'amore:
amata solo nei ritagli di tempo
tra una sanguisuga e un ricatto, 
solo nelle bolle di silenzio
preservate dal mio accenno di voce
che se prendeva corpo era sgradita. 
Quando prendevo corpo ero ingombrante, 
mi è salito Dismorfeo sulle spalle
appena raddrizzate dopo la scoliosi. 
Mi ha condotta ad amanti simili
alla labile attenzione madrepatria:
mi son fatta fuoco d'artificio
tutta sesso, nessun bacio sugli occhi
e madre di ogni persona amica, 
con mense e rifugi m'espiavo, 
mi spazzavo assieme ai rifiuti. 
Non potevo essere amata intera, 
dunque ogni giorno mi facevo a pezzi
e tuttora a ogni abbraccio ho timore
che sfugga qualcosa dai bordi. 
Come fa Eremo ad amarmi tutta? 
Che miracolo, il suo sorriso che sorge
ogni mattina a scaldarmi le ossa! 
E quando ho rotto gli argini, carezze
grandi come onde, calde
come il vin caldo rituale attico, 
pareva fossero milioni, argini
di mani alle mie acque, mi sentivo
un fiume, come il linguaggio, 
come una forma di vita.
PERSEFONE NEL MATRIX

Ci sono campi in cui l'accondiscendenza 
non nasce, viene coltivata:
pelle filata dai bachi da seta, 
chioma di spighe di grano
da imballare per l'inverno, 
labbra di petalo serrato
al calar del sole, bellissimo, 
separato, che non si sciupi, 
natiche come bonsai, 
seni di melagrana
adatti alle mani del rapitore. 
Ci sono campi di fanciulle, 
figlie mietute come spose, 
istruite ad amare
un potere imbrigliato. 

Che vorresti, ancora? 
Urlalo scomposta:
quand'esci dalla terra, Cora
non diventar più stelo, 
risorgi gatta nera.
EREDITÀ

La seta di uno stronzo mi cinge il collo, 
arredo di lusso per un cuore scadente. 
Occhio sessista, labbro razzista, 
dal naso un ultimo sbuffo sprezzante:
"le mie cose litigatevele voi! "
Abbiamo fatto come ha voluto
e assieme come non ha voluto, 
di conseguenza: cravatte su una ragazza! 
Come epitaffio, un saffico sberleffo. 

La scatola di uno stronzo mi pesa sul palmo, 
preziosissima incubatrice di pellicola:
mi trema il cuore solo a sfiorarla, 
vale quanto le foto mai scattate, 
i ritratti mai dipinti, l'amore
mai dato. Questi cuori essiccati
in giovani petti e per decenni ancora
conservati in simulacri d'esistenza. 

A volte i vecchi muoiono soli
perché nulla è più terribile dell'uomo
che falcia via ogni volto amico
di guerra in guerra, per profitto
ma altre volte sono stati loro
i falciatori affettivi, di oggetti di pregio
solamente latori, sembra sacrilego
come orgasmo nel bosco, 
come terapia d'urto, farne un uso
che ne scavalchi i portatori.

Autore: ventfille

Questo è un archivio di racconti e poesie, o lo sarà quando avrò imparato a padroneggiarlo (avete presente Talete, che camminava con gli occhi rivolti al cielo e quindi cadde nel pozzo? Il mio pozzo è informatico). Ho un volto e carne viva, ma non qui.

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